Ricerca e stoccaggio di idrocarburi in Puglia: perché non sono accettabili da un punto di vista bio-psico-sociale


E’ in atto una molteplice forma di colonizzazione della regione Puglia finalizzata a renderla una area versata allo sfruttamento delle risorse petrolifere del sottosuolo terrestre e marino volti a trasformarla in una lunghissima area di passaggio e stoccaggio di idrocarburi. Si sta contemporaneamente richiedendo i permessi ministeriali per: il più grande deposito di GPL d’Europa a Manfredonia, le trivellazioni in basso Adriatico (non dimenticando che verrà saggiato e trivellato il fondale delle Tremiti dal mare croato), sette nuovi pozzi petroliferi più un centro di trattamento e uno di stoccaggio GPL a Tempa Rossa (Valle del Sauro). Infine un gasdotto dall’Azerbaijan sbarcherà nel Salento. I vari movimenti per i diritti dei cittadini, oltre alle storiche associazioni che si battono per la tutela del territorio, hanno innescato una reazione a catena virtuosa ma poco potente nel lanciare il messaggio di allarme. Non sufficit infatti i comitati“NO-TRI”, “NO-TAP”, “NO-GPL” insieme agli operosi “Giu le mani dal nostro mare”, “Stop Tempa Rossa”, “Save MarGrande”, “DefendGargano”, “DefendApulia” a suscitare un interesse prioritario nella popolazione pugliese (4 milioni di persone) sul rischio di vedersi trasformare in pochi anni la propria terra, habitat, paesaggio e humus sociale.
Il gioco non vale la candela, per usare un detto popolare, soprattutto per i pugliesi che sarebbero scippati del patrimonio paesaggistico ed enogastronomico (i prodotti agricoli e marittimi delle zone interessate da impianti di idrocarburi difficilmente godono di medio-alte valutazioni nelle borse di settore, per cui sarebbero da commercializzare a prezzi molto più bassi del presente e con nessuna possibilità di un piazzamento europeo o internazionale) senza alcuna contropartita economica: le royalities sono bassissime, l’impiego di manodopera e operai locali una chimera con l’attuale livello di automazione dei sistemi. C’è poi da considerare l’inquinamento, i grandi rischi legati alla sicurezza e la possibilità di sciagure ambientali irreversibili.
Affermare che le statistiche oncologiche segnerebbero una impennata è quasi lapalissiano. Come rappresentante di una associazione di promozione sociale dedita alla prevenzione della malattia mentale sin dal 2008 la prima considerazione da esternare è che tutte queste condizioni sono, a detta del paradigma bio-psico-sociale, ottime premesse affinché si amplifichi tutta una serie di disturbi mentali legati alla sfera dei disturbi d’ansia e di sociopatie. Davvero si vuol pagare tutto questo prezzo? La Puglia e i suoi abitanti possono permetterselo?
Perchè tale certezza? Esplicheremo in successivi articoli le fondamenta antropologiche e psico-sociali della grave tesi che sosteniamo, anticipiamo questo: si è di fronte ad un economico-sociale postmoderno di neocolonizzazione in cui le accezioni di “colonia” e “sfruttamento” sono da aggiornare. L’Italia è ascrivibile ad una zona periferica di una grande realtà economica (Comunità Europea) da cui dipende sempre in misura crescente cui fornisce materia prima e capitale umano: è, de facto, una colonia in termini postmoderni. Le colonie, di qualunque età storica, non possiedono i medesimi diritti morali del centro economico ma solo quelli che legalmente riesce a far valere. In parole povere una colonia deve sempre difendere i suoi diritti, anche se dovuti. E’ una tara morale che diventa fortissima se si vuol pensare ad un futuro sostenibile per l’Italia…e per la Puglia. Un tal livello di pressione sociale diventa humus fertile per le patologie mentali summenzionate.
[continua]
(A cura di Luigi Starace –Associazione Stigmamente, Arte Media e Psichiatria)

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